Carenza di ferro? Risolviamolo insieme
La carenza di ferro è da sempre al centro del dibattito scientifico, il ferro infatti ricopre molteplici ruoli all’interno del nostro organismo:
- è coinvolto nel trasporto dell’ossigeno ai tessuti come costituente della mioglobina e dell’emoglobina;
- costituisce molti enzimi implicati nella produzione di energia e nella detossificazione dell’organismo (citocromi, perossidasi, catalasi…)
- co-fattore in molte altre reazioni chimiche.
Il fabbisogno di ferro indicato dai LARN per la popolazione italiana è di 18 mg/die per le donne in età fertile e di 10 mg/die per l’uomo e per le donne in menopausa. Considerato che il modello di dieta occidentale fornisce circa 6 mg di ferro ogni 1000 kcal introdotte, si deduce che gli sportivi che necessitano di apporti energetici elevati (3000-5000 kcal/die) raggiungono più facilmente il fabbisogno di ferro giornaliero rispetto agli sportivi che devono rientrare in categorie di peso o che necessitano di un apporto calorico più basso. In quest’ultimo caso è importante monitorare l’assunzione del ferro per evitare il rischio di una carenza.
La diagnosi di laboratorio si basa sulla valutazione dei depositi (ferritina), sulla quota circolante (sideremia, transferrina), su forma e dimensioni dei globuli rossi. Il protrarsi di una carenza di ferro conduce nelle situazioni più gravi all’anemia sideropenica, patologia caratterizzata da una diminuzione della produzione di globuli rossi e dell’emoglobina totale. Ai fini della diagnosi i valori di emoglobina per la popolazione generale non devono scendere al di sotto dei 13 g/100 ml per gli uomini (12 g/100 ml per le donne) ma negli atleti è preferibile mantenere una concentrazione emoglobinica di sicurezza di almeno 16 g/100 ml (14 g/100 ml per le donne).
Negli sportivi non è infrequente il fenomeno della “Pseudo-anemia da emodiluizione” che viene erroneamente scambiata con l’anemia da sport. Ciò è dovuto al fatto che l’allenamento induce un aumento del volume totale del sangue che si verifica inizialmente a carico della parte liquida (plasma) e solo dopo della parte corpuscolata (globuli rossi), simulando così una condizione di carenza di ferro che in realtà è solo temporanea. Tuttavia è vero che negli atleti il rischio di una carenza è relativamente più elevato perchè con l’attività fisica intensa aumentano le perdite e di conseguenza aumenta il fabbisogno.
In generale nell’uomo le perdite quotidiane possono essere stimate intorno a 1 mg/die mentre nella donna in età fertile sono più alte, da 1,4 a 3 mg/die, a causa del ferro perso durante il ciclo mestruale. Altri sono i casi in cui si può avere perdita di una certa quantità di ferro: con le feci per desquamazione delle cellule della parete intestinale, con la desquamazione di capelli, unghie, cute, con la sudorazione e anche con l’uso prolungato di farmaci antinfiammatori. Nei podisti si può assistere ad un aumento delle perdite di ferro dovuto ad un maggiore scuotimento delle anse intestinali conseguente all’impatto col terreno.
Il problema dell’anemia da sport è stato spesso amplificato ad arte per incentivare l’uso di integratori in maniera scriteriata senza nemmeno aver svolto i necessari controlli ematici. La prescrizione di integratori o farmaci dovrebbe essere effettuata da personale qualificato e competente e non, come spesso accade, da allenatori o sedicenti esperti in nutrizione umana. Invece seguire un sano stile di vita e abitudini alimentari corrette dovrebbe essere una regola per prevenire una possibile carenza di ferro.
Nella preparazione di un piano alimentare adeguato bisogna tenere conto della biodisponibilità di questo minerale, cioè la quota che viene effettivamente assorbita e utilizzata dall’organismo soprattutto in caso di carenza di ferro. Gli alimenti contengono ferro in differenti forme chimiche, le quali hanno biodisponibilità differenti. Il ferro cosiddetto eme (ferro ridotto, Fe 2+) viene più facilmente assorbito ed è presente soprattutto nelle carni per una quota che si aggira attorno al 40% del ferro totale. Il ferro non eme rappresenta la restante parte (il 60%) contenuta nelle carni e la totalità del ferro negli alimenti vegetali.
La biodisponibilità del ferro-eme si aggira intorno al 15-25% e non viene influenzata da fattori esterni mentre quella del ferro non-eme è molto più bassa (2-5%) ma può variare in funzione della composizione della dieta. Tra i fattori che favoriscono l’assorbimento ricordiamo la vitamina C (frutta, vegetali), acido malico (mele), acido tartarico (uva), acido lattico (latti e cibi fermentati), acido citrico (limone e agrumi) e alcuni aminoacidi quali la lisina, l’istidina e la cisteina. Da precisare che la vitamina C potenzia il proprio effetto quando viene assunta contemporaneamente all’alimento che contiene ferro, per cui la classica spremuta di limone sulla carne è fortemente consigliata sia in casi di carenza di ferro che non!
Tra le sostanze invece che diminuiscono la biodisponibilità del ferro ricordiamo i chelanti, cioè agenti che hanno capacità di legare il metallo e impedirne l’assorbimento, quali i fitati (noci, legumi, cereali, crusca), l’acido ossalico (pomodori, spinaci,legumi, prezzemolo,cioccolata), i polifenoli (tè, caffè,vegetali), il calcio (latte e formaggi), la fibra (soprattutto la fibra solubile) e alcune sostanze aggiunte durante i processi tecnologici (EDTA). Inoltre fattori come l’età dell’individuo e le condizioni di salute possono ulteriormente modificarne l’assorbimento.
Con l’aiuto del nutrizionista, tutti questi aspetti possono essere tenuti nella giusta considerazione. Le corrette associazioni alimentari possono evitare la carenza di ferro mirate ad equilibrare bene fattori inibenti/favorenti possono ottimizzare l’apporto di questo elemento così prezioso per il nostro organismo evitando