Abbiamo già parlato con la dott.ssa Chiara Volpe della moda – spesso non dettata da reali necessità – del gluten free: ovvero, la tendenza ad evitare i prodotti che contengano glutine, escludendo nei fatti dalla propria dieta una serie di prodotti legati all’alimentazione mediterranea, carboidrati in primis.
Parallelamente a questa tendenza, il cardiologo William Davis ha elaborato la dieta Zero Grano, che parte da un preciso assunto (in verità piuttosto discutibile): guardando le foto dei nostri familiari vissuti 50-60 anni fa è possibile notare come tutti fossero molto più magri di noi. La causa? L’assunzione di un tipo di grano diverso da quello attualmente in commercio, più ricco in glutine e dunque responsabile di una lunga serie di disturbi per chi lo assume nella propria alimentazione quotidiana.
Che il grano oggi in commercio sia differente da quello di cinquant’anni fa è un fatto. Altrettanto vero è che molti tipi di grano che oggi spesso compaiono sulle nostre tavole, come quello saraceno o quello di kamut, non erano particolarmente diffusi ai tempi dei nostri nonni. Anche gli alimenti alternativi al grano, come i derivati dei riso, la quinoa, i cereali, sono certamente, almeno in queste quantità e forme, un’innovazione piuttosto recente.
In cosa consiste la dieta Zero Grano?
Il principale punto di forza della dieta Zero Grano, a detta di Davis, consiste nel fatto che i suoi pazienti, una volta eliminato il grano dalla loro dieta, siano immediatamente dimagriti. Pur sostituendo – sostiene – il grano con alimenti ugualmente gustosi ed elaborati. Unico accorgimento: non introdurre nella propria dieta cibi contenenti amido di riso o mais, fecola di patate o tapioca, ugualmente dannosi.
Ma siamo davvero sicuri che il grano sia l’unico responsabile di disturbi quali la scarsa concentrazione, il gonfiore addominale, la flatulenza, il mal di testa? E soprattutto, siamo davvero sicuri che l’eliminazione del grano sia il rimedio a questo tipo di malessere?
Eliminare il grano dalla propria dieta serve davvero?
Michelle Berridale-Johnson, editrice di Food Matters (magazine dedicato alle allergie e alle intolleranze alimentari) scrive: “Alcune ricerche hanno dimostrato che quando le persone credono di essere intolleranti al grano, seguono un’alimentazione più salutare, eliminando lo junk food. Dopo 2-3 settimane circa il 30% si sente meglio. A chi non capita sono consigliate ulteriori indagini”. Ciò significa che spesso il miglioramento non avviene per l’eliminazione di un cibo, ma per l’introduzione di altri alimenti nella propria dieta, che diventa più varia ed equilibrata. Non ha senso dunque rinunciare alla pasta quando basterebbe alternarla con un buon piatto di zuppa d’orzo, un risotto alle verdure o un’insalata di quinoa.
In mancanza di un’allergia o un’intolleranza conclamata, dunque, non è utile rinunciare ad alimenti validi ed importanti come il grano e i suoi derivati: come sempre, il buonsenso è la prima chiave del benessere.