Tra le numerose proposte nutrizionali formulate negli ultimi anni, la “Zone Diet” o semplicemente Dieta a Zona, è diventata un vero e proprio fenomeno di massa, caratterizzata da un notevole successo mediatico e spinta da grandi interessi economici in virtù dei prodotti annessi.
La dieta zona, ideata inizialmente per i soggetti diabetici, mira, con un corretto apporto nutritivo, al raggiungimento e al mantenimento di una condizione psicofisica migliore definita “zona”, nella quale la produzione di insulina si trova in un range ottimale.
Tale condizione comporta diversi benefici tra cui una riduzione sensibile dell’insorgenza di patologie e di conseguenza un allungamento delle aspettative di vita.
Proprio in occasione di un workshop sulla “Sindrome metabolica e dieta antinfiammatoria”, ci siamo confrontati con l’ideatore del metodo zona, il biochimico americano di fama internazionale Barry Sears.
La risposta infiammatoria, ha spiegato il dott. Sears, è di fondamentale importanza per l’uomo perché consente all’organismo di difendersi dall’azione dannosa di agenti chimici, fisici e biologici, anche se un’infiammazione cellulare persistente espone l’organismo a malattie croniche ed a un invecchiamento precoce.
Sebbene i nostri geni non possano essere modificati, diventa possibile intervenire sulla loro espressione poiché gli alimenti hanno la capacità di attivare gli stessi geni infiammatori, innescati dai suindicati agenti.
Il modello a zona, quindi, viene proposto, al pari di altri modelli, come un piano nutrizionale in grado di regolare sia il controllo dell’espressione genica che l’ equilibrio ormonale.
Con riferimento alla regolazione dell’equilibrio ormonale, la dieta a zona punta al bilanciamento dei livelli dei due ormoni antagonisti insulina e glucagone in modo da ridurre drasticamente le conseguenze negative legate a un loro sovradosaggio.
Un eccesso di insulina, infatti, inibisce la lipolisi e porta le cellule ad utilizzare maggiormente i carboidrati come substrato energetico, provocando un accumulo di grasso corporeo, un aumento del rilascio di citochine infiammatorie prodotte dal tessuto adiposo e un’induzione di insulino-resistenza.
Diversamente, un eccesso di glucagone diminuisce i livelli di glucosio ematico, favorendo l’utilizzazione dei substrati lipidici ma contemporaneamente aumenta la produzione di corpi chetonici, i quali creano una condizione di acidosi metabolica. Il glucagone, inoltre, aumenta la secrezione di un altro ormone, il cortisolo, detto “ormone dello stress” che a lungo termine può creare numerose situazioni dannose per l’organismo, ossia perdita di massa magra, azione depressiva sul sistema immunitario, deposito di grasso in alcuni distretti corporei poiché favorisce la lipogenesi e diminuzione dell’affinità per i recettori insulinici.
Fin qua nulla di nuovo. La novità introdotta da Barry Sears riguarda l’adozione del modello 40-30-30, (40% di carboidrati, 30% di proteine e 30% di grassi) un modello nutrizionale basato sulla distribuzione dei macronutrienti in rapporto percentuale diverso da quanto indicato dalle linee guida internazionali. Tali percentuali di macronutrienti permettono di mantenere un adeguato apporto calorico per affrontare al meglio le attività quotidiane, evitando picchi glicemici significativi. Tuttavia le linee guida internazionali indicano come corrette le seguenti percentuali di nutrienti: 60% di carboidrati, 25-30% grassi e solo 10-12% di proteine.
Per quanto riguarda la regolazione dell’espressione genica, il dott. Sears, ha spiegato l’importanza dell’apporto di acidi grassi essenziali e di antiossidanti che, se assunti nelle giuste quantità, sono in grado di modulare l’infiammazione inibendo il fattore di trascrizione genico NF-KB, considerato un vero e proprio interruttore della risposta infiammatoria.
Gli acidi grassi, ha spiegato il dott. Sears, vengono classificati in base alla posizione del primo doppio legame tra gli atomi di carbonio, se questo doppio legame si trova in posizione 3 allora l’acido grasso apparterrà alla serie ω-3 , mentre se è in posizione 6 l’acido grasso apparterrà alla serie ω-6. Il capostipite della serie ω-3 è l’acido alfa-linolenico (18:3) da cui derivano altri acidi grassi quali l’acido eicosapentaenoico (EPA) e docosaesaenoico (DHA) invece dall’acido linoleico della serie ω-6 (18:2) deriva l’acido arachidonico (AA).
Gli acidi linolenico e linoleico vengono definiti acidi grassi essenziali (AGE) perché non potendo essere prodotti dal nostro organismo devono essere necessariamente assunti con l’alimentazione.
Inoltre, poiché tali acidi condividono la stessa via metabolica e competono per l’utilizzo degli stessi enzimi, delta-5 e delta-6-desaturasi, un eccessivo apporto di uno potrebbe interferire negativamente sul metabolismo dell’altro. Gli ω-3 e ω-6 sono precursori di molecole eicosanoidi (prostaglandine, trombossani, leucotrieni), le quali sono in grado di modulare diverse funzioni importanti nei tessuti come la vasodilatazione, l’aggregazione piastrinica, l’accentuazione del dolore, l’efficienza mentale e la risposta immunitaria. Nello specifico, gli eicosanoidi, derivanti da acidi grassi ω-3, avrebbero effetto anti-infiammatorio mentre gli eicosanoidi, derivanti dagli ω-6, avrebbero effetto pro-infiammatorio.
Si intuisce, pertanto, da tali spiegazioni, l’importanza di mantenere un rapporto ω-6/ω-3 corretto anche se negli ultimi 40 anni questo equilibrio è stato spostato verso un’assunzione spropositata di ω-6.
Gli acidi grassi ω-6 si trovano in elevate quantità negli oli di semi largamente utilizzati nell’industria alimentare.
È necessario fare attenzione alla scelta degli alimenti cercando di evitare quelli che contengono oli di semi tra gli ingredienti utilizzati al fine di ridurre la loro assunzione. In questo caso è molto utile leggere attentamente le etichette nutrizionali.
Gli acidi grassi della serie ω-3, invece, sono presenti soprattutto nelle carni dei pesci (pesce azzurro, tonno, salmone..) che non devono assolutamente mancare nella nostra dieta.
Il rapporto tra ω-6/ω-3 si attesta su livelli accettabili nella popolazione giapponese mentre in America questo rapporto risulta assolutamente sbilanciato a favore degli ω-6. Noi italiani, per effetto della globalizzazione, ci siamo discostati negli anni dal modello di dieta Mediterranea di riferimento per adeguarci alle cattive abitudini alimentari degli altri Paesi.
La quantità “terapeutica” di ω-3 consigliata per risolvere l’infiammazione è di 2,5 gr/die nei soggetti normopeso mentre va raddoppiata nei soggetti obesi e può aumentare ancora nei soggetti che presentano patologie. Va precisato che 2,5 gr di ω-3 sono contenuti in 250 gr di salmone e in ben 900 gr di tonno, quindi potrebbe risultare difficoltoso raggiungere questi apporti nutrizionali con un’alimentazione poco varia.
Il Dott. Sears ha concluso sottolineando l’importanza dell’assunzione dei polifenoli, antinfiammatori naturali prodotti dal metabolismo secondario delle piante.
I polifenoli si trovano in elevate quantità nella frutta, nella verdura fresca, ma anche nel tè e nel vino; quelli idrosolubili risultano i più efficaci in quanto vengono facilmente assorbiti dal nostro organismo senza essere eliminati con le urine. Un apporto di circa 400 mg/die di polifenoli determina una significativa riduzione dell’ossidazione delle LDL, la causa di molti problemi cardio-vascolari.
Il consiglio, quindi, è quello di consumare almeno 5 porzioni al giorno tra frutta e verdura rispettando la stagionalità.
A tal proposito si ricorda l’effetto positivo delle “delfinidine”, una classe di polifenoli tra le più idrosolubili in natura la cui fonte più ricca è la Bacca di Maqui, vero e proprio concentrato di sostanze antinfiammatorie (10 gr. per kg) ed di un’ elevata quantità di delfinidine (34%) che ne fanno un frutto dalle notevoli proprietà benefiche.
Ecco quindi svelato il metodo della dieta zona: polifenoli e ω-3 assunti nelle giuste quantità e un regime alimentare rigorosamente 40-30-30 che insieme ad un corretto stile di vita e la giusta attività fisica fanno il resto: parola di Barry Sears!!!
Ovviamente Berry Sears non è linea con la WHO (World Health Organization), la FAO (Food and Agriculture Organization of the United Nations) e la maggior parte delle linee guida internazionali per una sana alimentazione, frutto del lavoro di migliaia esperti.
Ma questo pare essere una storia che non interessa a nessuno!
Dott. Mario Caratozzolo